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Questo blog è stato aperto da Mario Ardigò per consentire il dialogo fra gli associati dell'associazione parrocchiale di Azione Cattolica della Parrocchia di San Clemente Papa, a Roma, quartiere Roma - Montesacro - Valli, un gruppo cattolico, e fra essi e altre persone interessate a capire il senso dell'associarsi in Azione Cattolica, palestra di libertà e democrazia nello sforzo di proporre alla società del nostro tempo i principi di fede, secondo lo Statuto approvato nel 1969, sotto la presidenza nazionale di Vittorio Bachelet, e aggiornato nel 2003.

This blog was opened by Mario Ardigò to allow dialogue between the members of the parish association of Catholic Action of the Parish of San Clemente Papa, in Rome, the Roma - Montesacro - Valli district, a Catholic group, and between them and other interested persons to understand the meaning of joining in Catholic Action, a center of freedom and democracy in the effort to propose the principles of faith to the society of our time, according to the Statute approved in 1969, under the national presidency of Vittorio Bachelet, and updated in 2003.

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L’Azione Cattolica Italiana è un’associazione di laici nella chiesa cattolica che si impegnano liberamente per realizzare, nella comunità cristiana e nella società civile, una specifica esperienza, ecclesiale e laicale, comunitaria e organica, popolare e democratica. (dallo Statuto)

Italian Catholic Action is an association of lay people in the Catholic Church who are freely committed to creating a specific ecclesial and lay, community and organic, popular and democratic experience in the Christian community and in civil society. (from the Statute)

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Scrivo per dare motivazioni ragionevoli all’impegno sociale. Lo faccio secondo l’ideologia corrente dell’Azione Cattolica, che opera principalmente in quel campo, e secondo la mia ormai lunga esperienza di vita sociale. Quindi nell’ordine di idee di una fede religiosa, dalla quale l’Azione Cattolica trae i suoi più importanti principi sociali, ma senza fare un discorso teologico, non sono un teologo, e nemmeno catechistico, di introduzione a quella fede. Secondo il metodo dell’Azione Cattolica cerco di dare argomenti per una migliore consapevolezza storica e sociale, perché per agire in società occorre conoscerla in maniera affidabile. Penso ai miei interlocutori come a persone che hanno finito le scuole superiori, o hanno raggiunto un livello di cultura corrispondente a quel livello scolastico, e che hanno il tempo e l’esigenza di ragionare su quei temi. Non do per scontato che intendano il senso della terminologia religiosa, per cui ne adotto una neutra, non esplicitamente religiosa, e, se mi capita di usare le parole della religione, ne spiego il senso. Tengo fuori la spiritualità, perché essa richiede relazioni personali molto più forti di quelle che si possono sviluppare sul WEB, cresce nella preghiera e nella liturgia: chi sente il desiderio di esservi introdotto deve raggiungere una comunità di fede. Può essere studiata nelle sue manifestazioni esteriori e sociali, come fanno gli antropologi, ma così si rimane al suo esterno e non la si conosce veramente.

Cerco di sviluppare un discorso colto, non superficiale, fatto di ragionamenti compiuti e con precisi riferimenti culturali, sui quali chi vuole può discutere. Il mio però non è un discorso scientifico, perché di quei temi non tratto da specialista, come sono i teologi, gli storici, i sociologi, gli antropologi e gli psicologi: non ne conosco abbastanza e, soprattutto, non so tutto quello che è necessario sapere per essere un specialista. Del resto questa è la condizione di ogni specialista riguardo alle altre specializzazioni. Le scienze evolvono anche nelle relazioni tra varie specializzazioni, in un rapporto interdisciplinare, e allora il discorso colto costituisce la base per una comune comprensione. E, comunque, per gli scopi del mio discorso, non occorre una precisione specialistica, ma semmai una certa affidabilità nei riferimento, ad esempio nella ricostruzione sommaria dei fenomeni storici. Per raggiungerla, nelle relazioni intellettuali, ci si aiuta a vicenda, formulando obiezioni e proposte di correzioni: in questo consiste il dialogo intellettuale. Anch’io mi valgo di questo lavoro, ma non appare qui, è fatto nei miei ambienti sociali di riferimento.

Un cordiale benvenuto a tutti e un vivo ringraziamento a tutti coloro che vorranno interloquire.

Dall’anno associativo 2020/2021 il gruppo di AC di San Clemente Papa si riunisce abitualmente il secondo, il terzo e il quarto sabato del mese alle 17 e anima la Messa domenicale delle 9. Durante la pandemia da Covid 19 ci siamo riuniti in videoconferenza Google Meet. Anche dopo che la situazione sanitaria sarà tornata alla normalità, organizzeremo riunioni dedicate a temi specifici e aperte ai non soci con questa modalità.

Per partecipare alle riunioni del gruppo on line con Google Meet, inviare, dopo la convocazione della riunione di cui verrà data notizia sul blog, una email a mario.ardigo@acsanclemente.net comunicando come ci si chiama, la email con cui si vuole partecipare, il nome e la città della propria parrocchia e i temi di interesse. Via email vi saranno confermati la data e l’ora della riunione e vi verrà inviato il codice di accesso. Dopo ogni riunione, i dati delle persone non iscritte verranno cancellati e dovranno essere inviati nuovamente per partecipare alla riunione successiva.

La riunione Meet sarà attivata cinque minuti prima dell’orario fissato per il suo inizio.

Mario Ardigò, dell'associazione di AC S. Clemente Papa - Roma

NOTA IMPORTANTE / IMPORTANT NOTE

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Il sito della parrocchia:

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domenica 8 ottobre 2017

Il futuro della dottrina sociale e del pensiero e azione sociali da essa ispirati

Il futuro della dottrina sociale e del pensiero e azione sociali da essa ispirati

dal WEB. 23 giugno 1996: il papa Giovanni Paolo 2° a Berlino, davanti alla Porta di Brandeburgo, insieme ai cristiano democratici Helmut Kohl, cancelliere tedesco, e Eberhard Diepgen, sindaco della città


1. Cooperare per una visione collettiva affidabile della storia.
 Ho esposto alcune riflessioni di sintesi sugli influssi politici della dottrina sociale. L’ho fatto, naturalmente, dal mio punto di vista, che è piuttosto limitato.
 Ci sono storici di professione, maestri nel loro campo, che hanno trattato l’argomento non solo molto più diffusamente, ma anche meglio e sulla base di una raccolta di fonti molto più completa e scientificamente vagliata. Ma chi si propone di collaborare all’azione collettiva nella direzione e secondo i principi della dottrina sociale non può esimersi dal maturare visioni e convinzioni personali su quel tema, a fini essenzialmente pratici, perché in queste cose non si parte mai da zero, ma è come montare su un treno ad una stazione intermedia del suo viaggio, e allora occorre capire da dove viene, quando arriverà, quando ripartirà,  e dove è diretto.
 Fuori di metafora: il futuro è determinato anche dal passato, che quindi occorre conoscere.
 Conoscere tutto è  ormai impossibile nella vita di un singolo essere umano. Si cerca di avere una visione affidabile del mondo in cui si vive e in particolare, dei campi in cui si deve operare. Affidabile  non significa sempre  veritiera: significa credibile  sulla base delle fonti che si sono esaminate e dei contributi portati dalla collettività a cui si è connessi per certe attività. Accade come in archeologia: la scoperta di nuovi reperti, può cambiare la ricostruzione del passato.
 Nel leggere ciò che scrivo, si tenga presente che il mio vuole essere solo un contributo personale per arrivare ad una visione collettiva affidabile di eventi passati e del presente, per capire che fare nel futuro: non è un partito preso o una pretesa di affermare la  verità su ciò che tratto. Dalla metà degli anni ’70 sono stato testimone consapevole della storia di cui scrivo. Molti altri, però, lo sono stati ed alcuni di loro in posizioni di osservazione migliori, più ravvicinate. Sono ancora viventi alcuni dei protagonisti di certi eventi che, per la loro importanza, sono definiti storici. Ne cito, ad esempio, due: Henry Kissinger, segretario di stato statunitense dal 1969 al 1977, sotto le presidenze federali dei repubblicani Richard Nixon e di Gerald Ford, - per certi versi la Cina di oggi è anche frutto della sua politica estera -  e Michail Gorbacev, l’ultimo segretario generale del Partito comunista sovietico, dal 1985 al 1991 - l’Europa di oggi è risultata anche dalla sua politica estera-.
2.Ragionare su scala globale.
  In Italia da molto tempo siamo abituati a parlare di politica su piccola scala, fondamentalmente limitandoci ad una dimensione nazionale.
  Ragionando di dottrina sociale, creata per la massima parte dal magistero dei papi e da quello dei saggi riuniti nell’ultimo Concilio ecumenico detto Vaticano 2°, tenutosi a Roma dal 1962 al 1965, si  è invece proiettati in una dimensione mondiale, quella in cui si muove il Papato. E’ una visione tanto esaltante da togliere quasi il respiro: essa abbraccia la storia di oltre un millennio, dall’Ottavo secolo della nostra era ad oggi. Tuttavia va anche osservato questo: la missione della nostra Chiesa, e quindi del suo sovrano secondo le sue particolari leggi, è molto più vasta. Non si limita all’azione sociale e a quella politica, benché dalla metà dell’Ottocento si sia presa coscienza del loro collegamento con la  carità / agàpe  in senso religioso. L’azione sociale e politica  è tuttavia molto importante per un laico, perché è il suo campo principale di attività nella collettività, quello in cui può svolgere ruoli di primo piano e addirittura collaborare attivamente all’ideazione, alla formazione del pensiero in una posizione di avanguardia, come frutto di una ricerca spinta oltre i confini di ciò che è stato già detto, scritto, stabilito, formalizzato. Ma, per quanto in concreto l’azione sociale possa partire anche dall’occuparsi della fontana del quartiere, come si è invitati a fare oggi, occorre fare pratica, e fin da molto piccoli, di una realtà enormemente più vasta, quella appunto ben presente alla dottrina sociale in tutta la sua ormai secolare storia, e questo in particolare per il vertiginoso intensificarsi delle relazioni sociali nel mondo globalizzato, interdipendente, per cui la nostra felicità non dipende solo da ciò che accade nel quartiere in cui viviamo, ma anche da ciò che accade dall’altra parte del globo.
 Questa dimensione così estesa non è arbitraria dal punto di vista della fede, o frutto di una volontà di potenza, in particolare di europei che vogliono continuare ad avere il mondo nelle loro mani.
  E’  la fede che richiede di ragionare in termini globali. E’ spiegato bene nella Costituzione dogmatica Lumen Gentium - Luce per le gente, deliberata dal Concilio Vaticano 2°:
3. Tutti gli uomini sono chiamati a formare il popolo di Dio. Perciò questo popolo, pur restando uno e unico, si deve estendere a tutto il mondo e a tutti i secoli, affinché si adempia l'intenzione della volontà di Dio, il quale in principio creò la natura umana una e volle infine radunare insieme i suoi figli dispersi (cfr. Gv 11,52). 
[…]
9. […] il popolo messianico, pur non comprendendo effettivamente l'universalità degli uomini e apparendo talora come un piccolo gregge, costituisce tuttavia per tutta l'umanità il germe più forte di unità, di speranza e di salvezza. Costituito da Cristo per una comunione di vita, di carità e di verità, è pure da lui assunto ad essere strumento della redenzione di tutti e, quale luce del mondo e sale della terra (cfr. Mt 5,13-16), è inviato a tutto il mondo.
 […]
13. […] in tutte quindi le nazioni della terra è radicato un solo popolo di Dio, poiché di mezzo a tutte le stirpi egli prende i cittadini del suo regno non terreno ma celeste.
[…]
Questo carattere di universalità, che adorna e distingue il popolo di Dio è dono dello stesso Signore, e con esso la Chiesa cattolica efficacemente e senza soste tende a ricapitolare tutta l'umanità, con tutti i suoi beni, in Cristo capo, nell'unità dello Spirito di lui.
 In virtù di questa cattolicità, le singole parti portano i propri doni alle altre parti e a tutta la Chiesa, in modo che il tutto e le singole parti si accrescono per uno scambio mutuo universale e per uno sforzo comune verso la pienezza nell'unità. 
[…]
Tutti gli uomini sono quindi chiamati a questa cattolica unità del popolo di Dio, che prefigura e promuove la pace universale; a questa unità in vario modo appartengono o sono ordinati sia i fedeli cattolici, sia gli altri credenti in Cristo, sia infine tutti gli uomini senza eccezione, che la grazia di Dio chiama alla salvezza.
3.La dottrina sociale ha un futuro?
3.1 Il Papato  fa  politica fin dall’Ottavo secolo della nostra era. La fa nella dimensione e con ambizioni di un imperatore religioso  fin dall’anno Mille. Fare  politica per il Papato ha a lungo significato trattare da pari con gli altri sovrani europei, sovrano fra sovrano, ma sovrano con ambizioni imperiali. A differenza degli altri sovrani, l’azione politica del Papato non fu determinata in genere da volontà di dominio e di potenza, ma piuttosto da quella di consentire l’espansione della missione religiosa del clero e degli ordini religiosi nei regni degli altri sovrani e di contrastare la diffusione di costumi religiosi ritenuti errati. Il Papato si accontentò di un piccolo dominio, come re di uno stato, nell’Italia centrale, che non mirò ad estendere quanto a conservare. Come monarca in Italia fu coinvolto nelle beghe politiche dei vari principi della penisola, operando anche piuttosto spregiudicatamente, secondo i costumi degli altri sovrani, in particolare nei primi sei secoli del suo dominio, fino alla riforma che fu attuata nel Concilio di Trento, tenutosi tra il 1545 e il 1563, dal quale uscirono la Chiesa e la religione che mi furono presentate nella mia prima formazione di fede e che durarono più o meno invariate fino al Concilio Vaticano 2°.
  Da quando iniziò a fare  politica il Papato sviluppò propri orientamenti che pretese di imporre agli altri sovrani per una supremazia che concepiva insieme come religiosa e politica. La pesante corona a tre strati, detta Triregno, dismessa da Paolo 6° durante il suo pontificato (ma egli fu  incoronato  papa con quel copricapo), simboleggia bene quella  dottrina: il Papa come padre dei re, rettore del mondo, Vicario di Cristo.  Quegli orientamenti, nel loro complesso, erano già una dottrina sociale, quella parte del magistero che si occupa di dare indicazioni sull’ordinamento della società in modo che non contrasti con le esigenze etiche della fede.
 Tuttavia, quando si parla di  dottrina sociale,  ci si riferisce a quella parte del magistero sociale che si sviluppo negli anni in cui il Papato organizzò una forza sociale in Italia per sostenere le sue rivendicazioni politiche verso il Regno d’Italia, che l’aveva privato, conquistandolo militarmente, del suo piccolo regno nell’Italia centrale, e in particolare della sua capitale, Roma. In questo caso il pensiero e l’azione sociali a sostegno del Papato precedettero il magistero, dalla metà dell’Ottocento,  creando correnti politiche intransigenti  verso quelle nazionaliste che pretendevano Roma, per farne la capitale di un nuovo stato unitario nazionale. Esse si collegarono a precedenti esperienze di azione sociale reazionarie dirette contro le idee filosofiche dell’Illuminismo, in particolare di quello francese, e contro la politica dei rivoluzionari francesi di fine Settecento e poi  dell’imperatore francese Napoleone Bonaparte, regnante tra il 1804 e il 1815, il quale tra il 1806 e il 1808 aveva conquistato  lo stato pontificio, Roma compresa,  facendo prigioniero il Papa, Pio 7°, Barnaba Chiaramonti, nel 1809.  
3.2.  Si fa iniziare la dottrina sociale,  nel senso che ho precisato, dall’enciclica Rerum Novarum - Le novità,  diffusa nel 1891 dal papa Vincenzo Gioacchino Pecci, regnante come Leone 13°.
 Le pretese politiche del Papato, dopo la conquista di Roma da parte del Regno d’Italia nel 1870, si presentavano come di tipo  rivoluzionario  rispetto alla politica democratico-liberale del nuovo stato nazionale unitario italiano. La dottrina sociale ne fu l’ideologia sociale, quella mediante la quale si chiamarono a raccolta gli italiani di fede in difesa di quelle pretese.
 Che io sappia, in nessun’altra parte del mondo oltre che in Italia la dottrina sociale acquisì questa forte dimensione propriamente  politica,  di opposizione  al regime dominante  e di agitazione sociale. In particolare, la polemica contro il regime comunista sovietico che dal 1917 divenne egemone nei vastissimo territorio euro-asiatico del soppresso Impero russo, fu essenzialmente religiosa, non tanto politica, in particolare contro l’ideologia atea di quel regime, in un tempo in cui la dottrina sociale non aveva ancora assimilato tra i suoi valori sociali quelli democratici. Questa linea continuò anche, nel secondo dopoguerra, quindi dal 1945, nei confronti dei regimi comunisti divenuti egemoni negli stati dell’Europa orientale conquistati dall’Armata Rossa sovietica durante la guerra, salvo che nel caso, per quanto riguarda la Polonia, dell’enciclica Laborem Exercens - Mediante il lavoro, diffusa nel 1981 dal papa san Karol Wojtyla, regnante come Giovanni Paolo 2°, agli esordi della rivoluzione democratica in quella nazione. In Polonia, tuttavia, passato il decennio rivoluzionario, mi sembra che la dottrina sociale in linea con il Concilio Vaticano 2° abbia cessato di fare scuola; anzi credo che sia possibile affermarlo per la dottrina sociale in genere. L’asse politico di quello stato ha preso a oscillare tra un socialdemocrazia piuttosto laicizzata, metamorfosi del passato socialismo imperante, e un conservatorismo con qualche aggancio religioso ma di tipo  pre-conciliare e nazionalistico.
  In sostanza l’Italia fu a lungo il principale laboratorio politico della dottrina sociale, oltre che la nazione nella quale si crearono, per il Papato, le ragioni politiche  per idearla. L’occasione storica fu la minaccia politica al Papato portata dal nazionalismo italiano nelle sue varie espressioni, quella repubblicana mazziniana  e garibaldina e quella monarchico-cavouriana. Agli inizi del Novecento si aggiunse quella comunista nella linea sovietica. Non si trattò solo di elaborare un nuovo capitolo del catechismo o solo una ideologia politica di ispirazione religiosa, ma di suscitare un movimento popolare di massa a sostegno delle pretese politiche di libertà, indipendenza e autonomia del Papato. L’Azione Cattolica, strutturata nel 1906 come strettamente integrata con la gerarchia del clero, sia  a livello di vertice che a livello diocesano, fu lo strumento sociale di attivismo, formazione e propaganda in quel senso. Dato il compito che le era stato assegnato essa molto presto, come già accaduto con precedenti analoghe aggregazioni laicali, virò verso l’impegno politico. In definitiva costruì, sotto la diretta supervisione del Papato, un modello di  partito cristiano, distinto da se stessa e dall’organizzazione del clero ma con esse integrato non giuridicamente, statutariamente, ma mediante rapporti di tipo personale tra i rispettivi dirigenti e, soprattutto, per avere un medesimo corpo sociale di riferimento per militanza e propaganda. Nel mondo non mi pare di individuare un’esperienza politico-sociale con quelle caratteristiche, neppure dove si costituirono partiti di manifesta ispirazione cristiana, con denominazioni contenenti  richiami ad una democrazia cristiana  o al popolo, ad esempio in Germania, in Cile o in El Salvador. In particolare, In Italia, in definitiva, fin dal cedimento e crollo del regime fascista (1943-1945), gli anni della costruzione della nuova democrazia popolare repubblicana,   il partito cristiano,  come lo definì l’ideologo e storico Gianni Baget Bozzo, risultò costituito dal Papato, dalla gerarchia del clero e dal clero e ordini religiosi (in particolare gesuiti e francescani), dall’Azione Cattolica e dal partito propriamente detto, la Democrazia Cristiana, che presentava liste alle elezioni e selezionava la classe di governo e parlamentare. Questo modello, egemone in Italia dal 1945 al 1994 come forza di governo,  comportava in certa misura la sacralizzazione  della politica, vale a dire la legittimazione sacrale di un orientamento politico e di governo e di una classe politica. Entrò in crisi negli anni ’70 nella fase attuativa dei deliberati del Concilio Vaticano 2 che, con la ristrutturazione dell’associazionismo laicale secondo il principio dell’autonoma dei laici, comportava una  desacralizzazione  della politica, campo proprio e principale del laico.
 Desacralizzare  significava  relativizzare, poter sottoporre a critica e verifica. Il processo iniziò in Azione Cattolica nel 1964, ancora negli ultimi tempi del Concilio, con la presidenza nazionale del giurista Vittorio Bachelet. La desacralizzazione finì poi per coinvolgere la stessa politica del Papato in Italia, la fonte della dottrina sociale. E, infine, lo stesso Papato, come istituzione, del quale si cominciò ad invocare la riforma. E’ a questo punto che quel modello di partito cristiano  iniziò ad apparire controproducente per gli stessi interessi politici del Papato. Si era negli ultimi anni del regno religioso del beato Giovanni Battista Montini, Paolo 6°. Nel 1978, scomparvero tragicamente due dei principali esponenti del partito cristiano, Aldo Moro, professore di diritto, costituente, parlamentare, ministro, presidente del Consiglio, uno dei più brillanti e creativi esponenti del riformismo sociale cattolico-democratico, assassinato dai terroristi comunisti delle brigate rosse,  e il beato Giovanni Battista Montini, colui che aveva dato un contributo determinante a portare il cattolicesimo italiano su posizioni democratiche, dopo il cedimento al fascismo del Papato, cominciando dalla formazione culturale e religiosa, attraverso la Federazione Universitaria Cattolica Italiane e il Movimento Laureati di Azione Cattolica, entrambi fino agli anni '70 parti integranti dell'Azione Cattolica, di una nuova classe dirigente politica  democratica nazionale.
3.3. Quello di san Karol Wojtyla, succeduto nel 1978 al beato Montini con il nome di Giovanni Paolo 2°, scelto per significare la continuità con gli ideali espressi dal Concilio Vaticano 2° svoltosi sotto i papi Giovanni 23° e Paolo 6°, fu un papato molto diverso da tutti quelli precedenti: espresse una nuova dottrina sociale. Al centro degli interessi di quel Papato non fu più l’Italia, ma l’Europa, da un lato e dall’altro della linea di demarcazione tra i regimi democratici occidentali e quelli comunisti di stampo sovietico. Con la caduta di questi ultimi sembrò che anche l’ultimo nemico fosse stato abbattuto. La dottrina sociale non sembrò più essere destinata a suscitare un movimento politico di massa a sostegno e in difesa del Papato: se ne accentuò il rilievo morale. In fin dei conti l’ordine politico europeo che si venne instaurando sembrò non creare più problemi per il Papato. Una fotografia riassume bene la situazione ed è quella che ho inserito all’inizio. Il papa Giovanni Paolo 2° fotografato il 23 giugno 1996 a Berlino, già molto malato con tutta evidenza, davanti alla Porta di Brandeburgo - luogo simbolico sia dello sconfitto regime nazionalsocialista che della frattura politica inferta al popolo tedesco dallo sconfitto regime comunista tedesco di scuola sovietica instaurato nella Germania Orientale -, insieme al cancelliere tedesco cristiano democratico  Helmut Kohl e al sindaco di Berlino Eberhard Diepgen, anche lui cristiano democratico. Al termine di questo testo, trascrivo il discorso che tenne in quell’occasione. Leggendolo sembra che una  civiltà dell’amore  fosse a portata di mano. Quanto diversa quell’atmosfera da quella, cupa, che si respirò qui a Roma, nella basilica di San Giovanni in Laterano, alla messa funebre per Aldo Moro, celebrata il 13 maggio 1978 dal papa Paolo 6°, in cui furono pronunciate queste parole:
 Ed ora le nostre labbra, chiuse come da un enorme ostacolo, simile alla grossa pietra rotolata all’ingresso del sepolcro di Cristo, vogliono aprirsi per esprimere il «De profundis», il grido cioè ed il pianto dell’ineffabile dolore con cui la tragedia presente soffoca la nostra voce.
E chi può ascoltare il nostro lamento, se non ancora Tu, o Dio della vita e della morte? Tu non hai esaudito la nostra supplica per la incolumità di Aldo Moro, di questo Uomo buono, mite, saggio, innocente ed amico; ma Tu, o Signore, non hai abbandonato il suo spirito immortale, segnato dalla Fede nel Cristo, che è la risurrezione e la vita. Per lui, per lui.
 Ho trovato sul Web un’immagine di quell’orazione funebre che incollo qui sotto.
 
dal WEB. 13 maggio 1978: papa Paolo 6° legge l'orazione funebre per Aldo Moro in San Giovanni in Laterano, a Roma
  Nel 1978 l’Italia cessò di essere il laboratorio politico della dottrina sociale e la nostra Azione Cattolica di esserne il principale agente sociale. Una via che sembrò sconfitta sul campo, così come vittoriosa sul campo apparve quella impersonata da san Wojtyla. Impegnata nella mediazione con i socialismi europei la prima, nettamente contraria ad ogni socialismo la seconda.
  Un Papato come quello impersonato da san Wojtyla, che si era imposto sulla scena internazionale per virtù propria, non aveva bisogno in Italia di un agente sociale a sua protezione: nessuna formazione politica di rilievo osava in quel momento, in Italia, opporsi ad esso. L’influenza politica di quel modello fu dimostrata in modo spettacolare nel corso della veglia funebre per il  papa,  nella Basilica di San Pietro in Vaticano, nell'aprile 2005, quando accanto alla salma del Papa si inginocchiarono, l’uno vicino all'altro, ben tre presidenti statunitensi, i due Bush e Clinton. Ecco la foto che ho trovato sul Web.
 
dal WEB. Aprile 2005: tre presidenti statunitensi inginocchiati accanto alla salma del Papa, durante la veglia funebre nella Basilica di San Pietro in Vaticano
 Piuttosto veniva a costituire un elemento di disturbo il laicato adulto  formatosi proprio in Azione Cattolica, che, desacralizzando  la politica, aveva iniziato a desacralizzare anche quella ecclesiale. Questo giustificò un’azione perché fosse messo a tacere ogni dissenso espresso. Cessando la possibilità di analisi critica, finì anche la creatività. L’ambiente del laicato italiano si inaridì.
3.4.  La situazione ha iniziato a mutare con l’elezione di papa Francesco. Ma si è in un contesto completamente diverso da quello tra il 1891 il 1978, quello della dottrina sociale di matrice italiana, e anche da quello tra il 1978 e il 1991, gli anni della dottrina sociale sul modello polacco, ideata e diffusa da san Wojtyla. Nel primo il contesto critico di riferimento per il Papato era stata quello italiano, nel secondo quello europeo. E  nel periodo di papa Bergoglio? E’ il mondo intero. Si ragiona su scala globale, secondo le dimensioni dei problemi dell’umanità contemporanea.
  La caratteristica molto evidente dell’attuale Papato è che al centro dei suoi interessi politici non è più il Papato medesimo. Questo orientamento era già iniziato sotto il regno di Giovanni Paolo 2°, ma a quell’epoca il modello di Papato ricevuto dalla tradizione, quello  romano, apparve ancora uno strumento utile per interagire sullo scenario internazionale in quella grande strategia ideata da san Wojtyla. Un modello fortemente sacralizzato e centrato sulla persona del pontefice regnante, come mai era avvenuto prima. Del resto, nel rinnovamento della catechesi degli anni ’70, non si era detto che al centro della fede non vi è una dottrina ma una Persona, sia pure divina? La fortissima personalizzazione  di quel Papato ne compensò gli aspetti storicamente obsoleti che però ricevettero nuova forza, in particolare quello del potere  imperiale  del sovrano religioso, arbitro assoluto della dottrina della fede.
 La struttura del Papato ai tempi di Giovanni Paolo 2° fu quella che intorno all’anno Mille era stata organizzata mutuandola dal più splendido dei sovrani europei di allora, l’imperatore romano  di Costantinopoli, integrata con il sistema feudale ricevuto dai sovrani germanici. Del resto essa era stata ideata in tempi in cui la massima autorità terrena era quella imperiale.
 Ai giorni nostri la struttura che, almeno giuridicamente, dovrebbe essere la più potente del mondo è quella delle Nazioni Unite e appunto queste mi pare essere stata presa come riferimento per una riforma del Papato. Il modello imperiale   sta un po’ stretto, in questa prospettiva.
  E quale possiamo considerare il laboratorio politico del nuovo Papato? E’ ancora presto per dirlo. E non possiamo neppure prevedere realisticamente se l’attuale Papa arriverà ad attivarne uno. E’ un ultraottantenne. E’ possibile che possa essere l’intero continente Latino-americano, l’ambiente da cui deriva molta parte della nuova dottrina sociale caratteristica dell’attuale Papato. Questo significa che non c’è da attendersi una ripresa del vecchio modello di partito cristiano. E nemmeno di aspettarsi precise indicazioni politiche  per un’azione sociale ispirata dalla fede nel continente europeo, secondo l’esempio di san Wojtyla.
  Questo non vuol dire però che non ci sia da fare in quel campo. Ma che si dovrà far molto conto sull’autonomia e sulla creatività del laicato di fede, molto più di un tempo. L’ideologia su cui ci è basata la fondazione dell’Unione Europea e impregnata di pensiero sociale cristiano: esso è alla base dei principali valori proclamati. Senza una base sociale di sostegno questa situazione potrebbe però velocemente cambiare. Nella crisi catalana in corso nella Penisola iberica, ad esempio, non si è avvertita l’influenza del cattolicesimo sociale, pur in una nazione in cui anagraficamente i fedeli cattolici sembrano ancora prevalere, così come scarsa influenza l’ebbe, dall’inizio degli anni ’90, nella crisi esplosiva della dissoluzione della Jugoslavia comunista, pur se a staccarsi furono anche popoli a maggioranza cattolica, come la Slovenia e la Croazia.
  La stessa dottrina sociale, nell’era di papa Francesco, è divenuta policentrica, secondo il modello Latino-Americano e non è più asservita al sostegno degli interessi politici del Papato come istituzione, ma è al servizio della sopravvivenza dell’umanità in un mondo globalizzato. Uno dei suoi nuovi centri propulsori e anche di ideazione potrebbe sicuramente ancora essere l’ambiente del cattolicesimo politico italiano, per la sua lunga tradizione di laboratorio sociale del Papato.
Mario Ardigò - Azione Cattolica in San Clemente papa - Roma, Monte Sacro, Valli

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VISITA PASTORALE IN GERMANIA (21-23 GIUGNO 1996)
CERIMONIA DI CONGEDO
DISCORSO DI GIOVANNI PAOLO II
Porta di Brandeburgo (Berlino)
Domenica, 23 giugno 1996

Cari Berlinesi,
signore e signori!
1. È giunto il momento dell’addio; è per me molto commovente, potermi incontrare questa sera con voi, presso la Porta di Brandeburgo, nel cuore di Berlino.
Consentitemi di iniziare ringraziandovi. Ringrazio il Presidente della Repubblica per il suo invito a visitare la Germania. Le parole particolarmente cordiali che mi ha rivolto venerdì al mio arrivo all’aeroporto di Paderborn/Lippstadt, e la cortesia con la quale mi ha accolto questa mattina al castello Bellevue, qui nella capitale, mi hanno fatto sentire fra voi come a casa. 
Signor Cancelliere, sono molto lieto della sua presenza. Lei è il principale artefice dell’unità dal suo popolo da poco ripristinata. Lei ha colto l’opportunità storica di ridare la libertà a diciassette milioni di connazionali e di realizzare l’unità del popolo tedesco. Ha osato chiedere non piccoli sacrifici agli abitanti del suo Paese per realizzare l’unità nella libertà. Voglia Dio dare la forza a lei e alla sua patria di portare a termine quest’opera!
Il mio sincero ringraziamento va anche a lei, Sindaco di Berlino, che insieme al signor Cancelliere mi ha rivolto parole tanto preziose. Rivolgo inoltre il mio saluto alla Presidente del Bundestag Tedesco, così come ai Presidenti del Parlamento di Berlino, ai membri del Governo, del Senato berlinese come anche ai deputati del Bundestag Tedesco e del Parlamento di Berlino. 
Esprimo un profondo ringraziamento all’Episcopato tedesco, a voi, miei fratelli nell’Episcopato, che avete dato un contributo essenziale a questo viaggio. Per voi questo viaggio è anche un viaggio di colui che, per incarico di Cristo, Capo della Chiesa:
- si reca dai fedeli per infondere forza e coraggio nella fede,
- si incontra con i portavoce delle sorelle e dei fratelli divisi, per approfondire la ricerca dell’unità,
- incontra i rappresentanti della comunità ebraica in questo Paese, per esprimere ancora una volta il rispetto della Chiesa cattolica,
- non desidera altro che annunciare a tutti gli uomini il messaggio liberatore del Vangelo e la conoscenza di Cristo, che supera ogni cosa (cf.Fil 3,8). 
La vostra vicinanza, cari fratelli nell’Episcopato, mi riempie di fiducia. È la missione dell’unico Signore che anima voi e me ed è il medesimo amore che riempie voi e me: il messaggio dell’amore di Dio, che non ha indietreggiato neanche davanti alla croce, raggiunge il cuore di tutti gli uomini e li fa rispondere con amore disinteressato. Ringrazio in particolare i miei fratelli, il Cardinale Georg Maximilian Sterzinsky e l’Arcivescovo Johannes Joachim Degenhardt, le cui arcidiocesi ho visitato. Vorrei ringraziare inoltre il Presidente della vostra Conferenza Episcopale per le cordiali parole di commiato che mi ha rivolto.
A questo punto, ringrazio tutti coloro che hanno preparato questa visita con un lavoro duro e scrupoloso, quanti hanno garantito il suo tranquillo svolgimento e gli operatori dei mezzi di comunicazione sociale che lo hanno seguito. 
I Berlinesi e i tedeschi, durante questa visita, mi hanno fatto sentire il loro affetto e la loro vicinanza. A tutti loro va il mio più sentito ringraziamento.
2. Fin dall’inizio desideravo sinceramente, durante questa visita pastorale in Germania, venire qui a Berlino. Naturalmente, in primo luogo, volevo incontrare i fedeli di questa Arcidiocesi, che, come tutti i Berlinesi, hanno dovuto sopportare la dolorosa divisione della loro città per decenni e ciononostante non si sono fatti fuorviare e, con profondo senso di solidarietà e di affetto, hanno sperimentato che la forza della violenza e della coercizione, dei muri e dei fili spinati, non ha potuto lacerare i cuori degli uomini.
In nessun altro luogo come in questo, durante la violenta divisione del vostro Paese, il desiderio di unità si è collegato così tanto a una opera di edificazione. La Porta di Brandeburgo è stata occupata da due dittature tedesche. Ai dittatori nazionalsocialisti serviva da imponente scenario per le parate e le fiaccolate ed è stata murata dai tiranni comunisti. Poiché avevano paura della libertà, gli ideologi trasformarono una porta in un muro. Proprio in questo punto di Berlino, simultaneamente punto di congiunzione d’Europa e punto di divisione innaturale tra Est e Ovest, proprio in questo punto si è manifestato a tutto il mondo il volto spietato del comunismo, al quale risultano sospetti i desideri umani di libertà e di pace. Esso teme però soprattutto la libertà dello spirito, che dittatori bruni e rossi volevano murare.
3. Gli uomini erano divisi tra loro da muri e confini micidiali. E in questa situazione la Porta di Brandeburgo, nel novembre del 1989, è stata testimone del fatto che gli uomini si sono liberati dal giogo dell’oppressione spezzandolo. La Porta chiusa di Brandeburgo era lì come simbolo della divisione; quando infine fu aperta, divenne simbolo dell’unità e segno del fatto che era stata finalmente realizzata l’aspirazione della Legge fondamentale al raggiungimento dell’unità e della libertà della Germania nella libera autodeterminazione. E così si può dire a ragione: la Porta di Brandeburgo è diventata la Porta della libertà.
In questo luogo così permeato di Storia mi sento spinto a rivolgere un urgente appello per la libertà a tutti voi qui presenti, al popolo tedesco, all’Europa, anch’essa chiamata all’unità nella libertà, a tutti gli uomini di buona volontà. Possa questo appello raggiungere anche quei popoli ai quali fino ad oggi è stato negato il diritto all’autodeterminazione, ai non pochi popoli - sono di fatto molti - ai quali non sono garantite le libertà fondamentali della persona: la libertà di fede, di coscienza e la libertà politica.
4. L’uomo è chiamato alla libertà. 
Libertà non significa diritto all’arbitrio. La libertà non è un "lasciapassare"! Chi trasforma la libertà in un lasciapassare le ha già inferto un colpo mortale. L’uomo libero è tenuto alla verità, altrimenti la sua libertà non è più concreta di un bel sogno, che si dissolve al risveglio. L’uomo non deve la propria esistenza a se stesso, ma è una creatura di Dio; non è padrone della propria vita e di quella altrui; se vuole essere uomo nella verità, deve udire e ascoltare. La sua libera creatività si sviluppa in modo efficace e duraturo solo se si basa come su incrollabile fondamento sulla verità, che è stata data all’uomo. Allora l’uomo potrà realizzarsi, anzi potrà superare se stesso. Non c’è libertà senza verità.
5. L’uomo è chiamato alla libertà. 
L’idea della libertà può essere trasformata in realtà di vita laddove gli uomini insieme ne sono convinti e pervasi, nella consapevolezza dell’unicità e della dignità dell’uomo e della sua responsabilità al cospetto di Dio e dell’umanità. Solo dove insieme ci si fa garanti della libertà e si combatte per essa in solidarietà, essa viene acquisita e rimane inalterata. La libertà del singolo non va separata dalla libertà degli altri, di tutti gli altri uomini. Laddove gli uomini restringono lo sguardo al proprio campo vitale e non sono più disposti a impegnarsi per gli altri anche senza vantaggi personali, lì la libertà è in pericolo. La libertà vissuta, invece, nella solidarietà produce un impegno per la giustizia nell’ambito politico e sociale e fa volgere lo sguardo verso di essa. Non c’è libertà senza solidarietà.
6. L’uomo è chiamato alla libertà. 
La libertà è un bene molto prezioso, che ha un alto prezzo. Richiede nobiltà d’animo e questa implica spirito di sacrificio; richiede vigilanza e coraggio contro le forze che la minacciano, dall’interno e dall’esterno. Animati dallo spirito di sacrificio, molti uomini nella vita di tutti i giorni sono pronti con naturalezza alla rinuncia, nella famiglia o fra gli amici. Si sacrificano per la libertà coloro che per la sua difesa dalle minacce interne o esterne accettano svantaggi, che quindi vengono risparmiati agli altri, fino a rischiare la propria vita. Nessuno può esimersi dalla sua responsabilità personale verso la libertà. Non c’è libertà senza sacrificio.
7. L’uomo è chiamato alla libertà. 
Berlino è una città profondamente vitale e sotto molteplici aspetti creativa. Nella sua ben visibile internazionalità si incontrano molteplici tradizioni e forme di vita. Berlino è una apprezzata città di cultura e d’arte, di cinema e di musei, un luogo di scambio e di trasmissione culturale. Ritengo molto importante la forza espressiva di queste forme della cultura umana, essendo essa la capacità di portare avanti e di concretizzare con le nostre forze la creazione divina. Esorto perciò tutti gli artisti e gli scienziati a usare i loro talenti per edificare una vasta "civiltà dell’amore", come io, sull’esempio del mio predecessore Paolo VI, l’ho chiamata talvolta, una civiltà "fondata sui valori universali della pace, della solidarietà, della giustizia e della libertà. E l’"anima" della civiltà dell’amore è la cultura della libertà: la libertà degli individui e delle nazioni, vissuta in una solidarietà e responsabilità oblative" ( Discorso all’Assemblea Generale dell’ONU, n. 18, 5.10.1995). 
Quando si è fatta l’esperienza dell’amore, si è fatta anche l’esperienza della libertà. Nell’amore l’uomo supera se stesso, abbandona se stesso, perché il suo interesse è per l’altro, perché vuole che la vita dell’altro si realizzi. Crollano così le barriere dell’egocentrismo e si prova la gioia dell’impegno comune volto a fini superiori. Rispettate l’inviolabile dignità di ogni singolo uomo, dal primo istante della sua esistenza terrena fino all’ultimo respiro! Ricordatevi sempre del riconoscimento che la vostra Legge fondamentale antepone a tutte le altre dichiarazioni: la dignità dell’uomo è inviolabile! Liberatevi per una libertà nella responsabilità! Aprite le porte a Dio!
La nuova casa Europa, della quale parliamo, ha bisogno di una Berlino libera e di una Germania libera. Ha soprattutto bisogno di aria per respirare, di finestre aperte, attraverso le quali lo spirito della pace e della libertà possa entrare. L’Europa ha quindi bisogno, non da ultimo, di uomini convinti che aprano le porte, di uomini che tutelino la libertà mediante la solidarietà e la responsabilità. Non solo la Germania, ma anche tutta l’Europa ha bisogno per questo del contributo indispensabile dei cristiani. 
Esorto tutti i Berlinesi e tutti i tedeschi, ai quali sono grato per la pacifica rivoluzione dello spirito che ha portato all’apertura della Porta di Brandeburgo: non spegnete lo Spirito! Tenete aperta questa porta, per voi e per tutti gli uomini! Tenetela aperta con lo spirito dell’amore, della giustizia e della pace! Tenete aperta la porta con l’apertura dei vostri cuori! Non c’è libertà senza amore. 
L’uomo è chiamato alla libertà. Annuncio a tutti voi che mi ascoltate: la pienezza e la compiutezza di questa libertà ha un nome: Gesù Cristo. 
È colui che ha detto di sé: io sono la porta. In lui l’uomo ha accesso alla pienezza della libertà e della vita. È colui che rende l’uomo veramente libero, poiché dissipa le tenebre dal cuore degli uomini e rivela la verità. Compie il suo cammino come nostro fratello e realizza la sua solidarietà con noi donando la sua vita per noi. In tal modo ci libera dal peccato e dalla morte. Fa sì che riconosciamo nel prossimo il suo volto, il volto del vero fratello. Ci mostra il volto del Padre e diventa per tutti il vincolo dell’amore.
Cristo è il nostro Salvatore, è la nostra libertà.
8. La giornata volge al termine. Ma nei nostri cuori serbiamo la luce, della quale abbiamo potuto gioire oggi. Rimaniamo uniti nella speranza che ci anima. Prima del mio ritorno a Roma vi invito di cuore ad un nuovo incontro nella Città Eterna in occasione del grande Giubileo dell’anno 2000.

Dio benedica Berlino, Dio protegga la Germania!